I pilastri del progetto architettonico di Mario Botta sono due: l’adattamento alle specificità del luogo e lo scopo dell’istituzione, che è quello di presentare e mettere in scena l'opera di Dürrenmatt. Costruendo un’ampia sala arrotondata sul pendio sottostante la villa, Botta ha adeguato elegantemente l’edificio alla conformazione del terreno. Tutti gli elementi architettonici – la torretta di fianco all’entrata, la scala che scende per quattro piani aprendo uno sguardo in profondità e la larga sala nel «ventre della terra» (Mario Botta) – sono allusioni alle torri, alle caverne e ai labirinti dell’opera letteraria di Dürrenmatt.
Una torre e un ventre - Estratto di un'intervista a Mario Botta
Roman Hollenstein: In che cosa consiste l'importanza di questo edificio?
Mario Botta: Il Centre Dürrenmatt è legato alla figura di Friedrich Dürrenmatt, un personaggio straordinario, così svizzero e nel contempo così lontano dalla Svizzera. Avevo conosciuto Dürrenmatt solo attraverso qualche incontro sporadico. C'era difficoltà di comunicazione perché parlavamo solo in francese. Negli ultimi tempi, mi aveva segnalato il suo ultimo romanzo La valle del caos (Durcheinandertal). Mi ha sempre attratto la sua capacità d'interpretare in chiave grottesca e ironica la compiutezza svizzera. Ho la convinzione che Dürrenmatt sia stata una delle persone più lucide del ventesimo secolo e non solo a livello svizzero.
Può caratterizzare e spiegare l'architettura e l'apparenza un po' enigmatica del Centre Dürrenmatt?
L'architettura è abbastanza semplice. Accanto alla vecchia casa abbiamo aggiunto, staccata, una torretta, e fra i due si situa l'ingresso. La luce dal tetto della torretta va fino in basso, dove sporge verso valle un ventre che riceve una luce zenitale, un vero spazio interrato con la torre che scende verso monte e la vecchia casa di fianco. È una struttura ipogea che s'inserisce in maniera misurata anche se l'intervento non è modesto nelle dimensioni. Il progetto ha una sua ambizione: quando si scende dalla torretta si trova un vasto spazio inatteso nel cuore della montagna. All'esterno abbiamo rivestito il centro con una pietra scura, un omaggio a Dürrenmatt, con un'ardesia nera. Così la vecchia casa accanto appare ancora più bianca. Sulla facciata nera si trovano alcune piccole aperture di vetrocemento, che di sera s'illuminano come lumi in un cimitero. La maggior parte del volume è interrato, con tutti i vantaggi dell'architettura ipogea: quando ci si trova sotto terra, si appartiene alla terra. È una sensazione molto bella, l'architettura ipogea. La cultura architettonica moderna ha studiato essenzialmente le costruzioni alte, verso il cielo, ma l'architettura della grotta, l'architettura primitiva dà un sentimento di protezione insospettato.
Lei ha detto di aver scelto la pietra nera, l'ardesia di Branzi, in riferimento all'elemento scuro, sarcastico nell'opera di Dürrenmatt. Però c'è anche la pietra chiara di questa zona, la pietra del Giura. Non ha mai pensato di fare così un omaggio al luogo, alla terra dove Dürrenmatt è vissuto?
Sì e abbiamo fatto delle campionature, ma il tutto risuonava più nostalgico che reale, perché la pietra del Giura non era reperibile. Ci sono ancora piccole cave, ma la bella pietra gialla di Neuchâtel è introvabile. C'era il rischio di dover prendere una pietra simile, magari spagnola. Ho pensato anche a una pietra locale. È una pietra grigia, ma troppo friabile. Per finire siamo andati sul sicuro, un'ardesia nera.
Qual è dunque l'influsso dell'opera di Dürrenmatt su questo Suo progetto? Si può dire che l'architettura del centro riflette l'opera di Dürrenmatt?
...è un po' presuntuoso. Spero di sì, in un certo senso. Anche se questo aspetto non è stato cercato. Forse esiste un feeling. Dürrenmatt non è uno scrittore tranquillo, classico e sereno, è uno scrittore che scava all'interno dell'animo umano. Per questo mi è sembrata appropriata l'idea di entrare nella terra. Non è certo una trasposizione diretta letteraria. Nel centro non dobbiamo esporre l'opera letteraria, ma un complemento particolare che è la pittura. Per questo dobbiamo predisporci ad avere tutti gli aiuti esterni possibili per interpretare la pittura di Dürrenmatt. Nell'esposizione sono presenti anche riferimenti al suo pensiero: per esempio l'idea di questa torre che - attraverso il lucernario - porta la luce fino in basso, l'idea della scala trasparente, che rimanda all'idea del labirinto così presente in Dürrenmatt, o ancora il colore nero, supporto alla descrizione della vita. È evidente comunque che non tutti gli elementi presenti nello spazio sono stati scelti di proposito per queste analogie.
Ma c'è anche un rapporto con il surrealismo dei dipinti di Dürrenmatt oppure della sua letteratura? Penso alla Torre di Babele, ma anche alla descrizione della casa bernese di Dürrenmatt «con scale che si perdevano nel buio».
Mai direttamente, talune analogie sono solo suggerite. Non credo che in architettura si possa rappresentare qualcosa che appartiene a un altro mondo, è però possibile che ci siano interferenze reciproche.
Le torri di Babele disegnate da Dürrenmatt sono - secondo lui stesso - alte qualche chilometro. Paragonata a queste torri, la torre del Centre Dürrenmatt è minuscola.
È vero, e non Le nascondo che non mi sarebbe dispiaciuto fare questa torre come un campanile, un segnale. Ma forse sarebbe stata una licenza poetica eccessiva. La modesta costruzione è una metafora della torre, non è una torre. Non c'è un riferimento diretto alla Torre di Babele di Dürrenmatt. È un vano pensato per portare la luce verso il basso, che dialoga o «contrasta» con la casa esistente. In taluni schizzi ho tracciato questa torre molto alta. Sarebbe stato possibile. Ma l'architettura è anche l'arte di ciò che è possibile.
Non c'è solo la torre sottile con gli aspetti metaforici, ma anche questa terrazza con la vista del lago in lontananza - insomma l'apertura verso uno spazio immenso.
La terrazza è un elemento importante perché il visitatore non può godere che parzialmente della torre: entra e poi scende. Lo spazio del «ventre» lo si percepisce solo quando si è in basso. La terrazza, invece, è lo spazio che lega il paesaggio alla torre e alla vecchia casa. Si presenta come una scena teatrale, un po' metafisica perché vuota. E il visitatore diventa protagonista. Mi piacerebbe offrire un'occasione e un'emozione che non si trovano in una piazza urbana. Questa terrazza è una piazza sospesa sul lago, è uno spazio pubblico. Tutto il resto non è pubblico. La terrazza era d'altronde una preesistenza, era uno spazio che si prolungava dalla vecchia casa. Mi è sempre piaciuto questo balcone sul lago, è da qui che ci si collega alla stradina e che ci si relaziona con il paesaggio.
L'aspetto un po' surreale è legato al mondo di Dürrenmatt come l'idea della scena. La si ritrova quando si esce dalla torre e si arriva sul balcone del mezzanino.
Sì. È un gesto, che porta con sé l'idea di un limite, con un elemento finito si parla dell'infinito. Questa è la forza dell'architettura, quella di assumere degli elementi concreti per parlare d'altro. Quando sono all'interno dello spazio, sento anche il vuoto della valle, sento il lago, la città. Il muro è come una diga: trattiene un'energia interna nei confronti del mondo esterno. L'idea principale del progetto è questo muro che traccia un limite.
Roman Hollenstein: Una torre e un ventre. Intervista a Mario Botta, in: Mario Botta: Centre Dürrenmatt Neuchâtel, edito da Peter Edwin Erismann, Basilea, Boston, Berlino 2000, pp. 79-97.